Destra e sinistra: gli errori da non ripetere dopo le amministrative

Destra e sinistra: gli errori da non ripetere dopo le amministrative

Il risultato elettorale ha fornito utili indicazioni ad entrambi gli schieramenti. E anche al centro di Calenda, che non va sottovalutato. Ha vinto chi si è presentato come più affidabile e moderato. Tutto questo apre inediti scenari per il futuro… L’analisi di Angelo Panebianco.

Il Pd da un lato e Salvini e Meloni dall’altro, rischiano di commettere l’errore opposto.

L’illusione dei democratici

I democratici potrebbero sottovalutare l’elevato astensionismo registrato nelle Amministrative. Potrebbero pensare che la loro indiscutibile vittoria significhi che la rimonta è in atto, che non ci sia bisogno di seri aggiustamenti di linea, che il titolo di vincitore sia a portata di mano anche nelle future elezioni politiche. Sbagliato. Quando, alle Politiche, entreranno in gioco molti elettori che si sono ora astenuti, la gara assumerà caratteri completamente diversi.

L’illusione dei democratici

Sull’altro lato dello schieramento, Salvini e Meloni potrebbero sopravvalutare anziché sottovalutare l’astensionismo delle Amministrative. Potrebbero pensare che, in caso di elezioni politiche, quello sarebbe in larga misura voto loro. Ma sbaglierebbero. Perché ora l’elettorato è molto fluido e reagisce in un modo o nell’altro a seconda delle campagne che conducono i vari partiti e delle personalità dei candidati. Lega e Fratelli d’Italia hanno già messo in cassaforte il sempre più ridotto voto d’appartenenza (come, del resto, ha fatto anche il Pd). Si è espresso per loro in questa tornata amministrativa e lo farà anche nelle elezioni politiche. Ma non sono certo gli «appartenenti», sono gli elettori mobili quelli che decideranno vincitori e vinti.

Dove andrà l’elettorato mobile?

Le Amministrative non hanno chiarito come andrà a posizionarsi il grosso dell’elettorato mobile. Poniamo, ad esempio, che né il Pd né la Lega e i Fratelli d’Italia decidano di cambiare molto dei messaggi che hanno fin qui mandato agli italiani. La cosa peraltro è probabile: non ci sono quasi mai cambiamenti di linea se non cambiano anche i leader. In questo caso, alle prossime politiche, ci sarebbero rilevanti settori dell’elettorato, soprattutto di classe media, nella condizione dell’asino di Buridano. Voterebbero il Pd? È un partito affidabile quando si tratta del rapporto con l’Europa. Ma è anche il partito su cui aleggia il sospetto che potrebbe aumentare le tasse e non solo sui grandi patrimoni. Magari per sostenere misure assistenziali come quelle immaginate per fare fronte alla disoccupazione giovanile. O altre misure escogitate in futuro per accontentare i superstiti dei 5 Stelle. Né piace a molti elettori, plausibilmente, la politica dem in materia d’immigrazione, altrettanto sbagliata, ai loro occhi, ma per ragioni opposte, di quella della destra.

Voterebbero allora la Lega o Fratelli d’Italia? C’è, prima di tutto, il problema della incapacità di quei partiti di stabilire in Europa legami con le forze che contano, per giunta in una fase in cui (quasi) tutti capiscono quanto quel rapporto sia per noi indispensabile. Essi parlano poi di abbassare le tasse. Cosa che di sicuro piace alla classe media. Ma si guardano dal dire dove prenderebbero le risorse. Come si fa ad abbassare significativamente le tasse disinteressandosi della tenuta dei conti pubblici? E poi c’è la ricorsa delle frange no vax. O una poco realistica politica dell’immigrazione. Tutto ciò per dire che c’è un’area dell’elettorato che aspetta proposte credibili, compatibili con i propri interessi e le proprie convinzioni, e non le trova nelle piattaforme dei tre più grandi partiti.

Occhio ai moderati

È sconsigliabile che quei partiti archivino troppo in fretta il fatto che la lista di Carlo Calenda sia risultata a Roma la più votata. Ed è sconsigliabile non osservare attentamente il comportamento dei (pochi) elettori che hanno votato al secondo turno. Una volta tenuto conto del peso delle condizioni locali in elezioni amministrative, e tolta la quota degli «appartenenti» (quelli pronti a sostenere chiunque venga presentato dal loro partito), si constata che a Roma gli elettori hanno scelto il candidato dal profilo più rassicurante, meno estremista. A Torino hanno votato Stefano Lo Russo, il quale si era distinto, negli anni precedenti, per la sua opposizione dura ai 5 Stelle. Mentre, sempre a Torino, il candidato del centrodestra, anch’egli un moderato, di sicuro non è stato aiutato da certe posizioni (ad esempio, sul green pass) dei leader nazionali. A Trieste, infine, è stato riconfermato un sindaco di centrodestra, premiato dalla buona amministrazione.

Quanto sopra detto sembra confermare ciò che molti hanno notato, ossia che siamo, plausibilmente, in una fase diversa da quella in cui si svolsero le elezioni del 2018. Allora trionfarono le posizioni estreme, i messaggi estremisti. Oggi molti elettori, votanti o astenuti, sembrano pronti a ricollocarsi nella zona centrale dello schieramento (effetto Covid, effetto Draghi?). Quale che sia la legge elettorale, di solito (salvo eccezioni, come nel 2018), è proprio quando si riesce a intercettare il centro che si vincono le elezioni. Nelle condizioni italiane di oggi ciò può avvenire se si verificano l’una o l’altra di due condizioni.

1. La prima implica che l’alleanza, oggi puramente nominale, di centrodestra e/o il Pd si riposizionino verso il centro dello schieramento ricalibrando candidature e messaggi. 2. La seconda implica che nasca una formazione centrista in grado di intercettare una parte dell’elettorato mobile. Entrambe le condizioni sono di difficile realizzazione. Nel primo caso i grandi partiti, di sinistra e di destra, dovrebbero sottoporsi a qualche dolorosa operazione plastica, dovrebbero valorizzare certi candidati a scapito di altri, modificare messaggi, adottare politiche che certamente procurerebbero dei mal di pancia al loro elettorato di appartenenza. Ma è difficile che lo faccia il Pd che oggi si sente «vincitore». Ed è difficile che lo facciano Lega e Fratelli d’Italia che continuano ad essere premiati dai sondaggi.

Anche l’affermazione di una formazione di centro è difficile. Potrebbe nascere solo aggregando diverse personalità che, per ottenere un buon risultato elettorale, non dovrebbero dare l’impressione di essere pronte a litigare fra loro subito dopo il voto.

Un possibile scenario

Concludo azzardando un possibile scenario. Ipotizziamo che nelle future elezioni, proprio come dicono oggi i sondaggi, Fratelli d’Italia risulti essere il partito più votato. Il presidente della Repubblica dovrebbe conferire l’incarico per la formazione del nuovo governo a Giorgia Meloni. Ma è possibile che Meloni non riesca a trovare in Parlamento i numeri per governare. Dopo lunghe ed estenuanti trattative nascerebbe un governo fondato su una combinazione parlamentare comprendente pezzi del (fu) centrosinistra e pezzi del (fu) centrodestra. Comincerebbe tutta un’altra storia.

Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera 21 ottobre 2021