Milton Friedman, piccolo grande uomo

Milton Friedman, piccolo grande uomo

Basso di statura, ma gigante del pensiero. Milton Friedman ha rivoluzionato gli studi economici nella seconda metà del novecento. Alessandro De Nicola ne ricorda la figura, a quindici anni dalla scomparsa.

“Se lo Stato governasse il deserto del Sahara in cinque mesi ci sarebbe mancanza d sabbia”. Questa e uno degli aforismi più divertenti di Milton Friedman, il grande economista scomparso il 16 novembre di 15 anni fa e che ancora oggi con le sue teorie rimane in tutto il mondo al centro del dibattito economico e politico.

Studi a Chicago

Milton nacque il 31 Iuglio del 1912 a Brooklyn da una famiglia della piccola borghesia ebraica. Si laureò in economia alla Rutgers University nel 1932 e, nonostante la passione per la matematica, maturò fin da allora la convinzione che l’economia fosse il “motore per la scoperta di verità concrete” non solo una scienza di modelli matematici astratti. Friedman continuò i suoi studi prima conseguendo il master all’Università di Chicago e poi il dottorato alla Columbia. Fin da quando negli anni Trenta comincio a lavorare per il National Bureau of Economic Research a New York, Friedman continuò sempre la professione di economista, come accademico, ricercatore presso istituti (I’Hoover Institute), commentatore (per Newsweek), consulente del governo.

Nobel nel ’76

Il nome di Friedman è certamente legato all’Università di Chicago dove insegnò per 35 anni e fu il più famoso esponente dell’omonima scuola di pensiero che fu l’avanguardia della rinascita del pensiero liberale classico (o “neoliberale”) applicato sia all’economia che al diritto e alle altre scienze umane. Partecipò nel 1947 alla fondazione della Mont Pelerin Society, il consesso che tutt’oggi riunisce economisti, filosofi, giuristi, storici liberali di tutto il mondo, tra cui molti Premi Nobel e da quel momento diventò un “intellettuale impegnato”.

Nel 1976 ricevette il premio Nobel per l’Economia e le sue idee ebbero un’influenza decisiva negli anni della “rivoluzione conservatrice” della Thatcher e di Reagan. Fu al centro di polemiche da parte di chi accusava i cosiddetti Chicago Boys di aver fornito consulenza ed aver partecipato al brutale governo di Augusto Pinochet in Cile. Friedman rispose che aver consigliato Pinochet di adottare politiche liberali non solo fu all’origine di un’impetuosa crescita, ma grazie all’acquisita libertà economica si posero le basi per il ritorno pacifico del Paese alla democrazia, cosa che avvenne nel 1989-90. Ovviamente, sul punto i giudizi divergono.

Politica monetaria e inflazione

Tuttavia, è interessante scoprire che moltissimi temi al centro dell’indagine teorica di Friedman sono sempre al centro del dibattito economico. Prendiamo la politica monetaria: prima del suo fondamentale lavoro sulla storia monetaria degli Stati Uniti dominavano le teorie keynesiane per le quali l’inflazione era determinata dalla domanda aggregata e c’era un collegamento tra inflazione e disoccupazione: se aumentava l’una, calava l’altra (Ia famosa curva di Phillips). Friedman concluse invece che non c’era una correlazione certa tra le due variabili (e la stagflazione degli anni Settanta lo dimostro) e l’inflazione era determinata dall’espansione della massa monetaria. Questa teoria, prima ignorata nel manuale principe di macroeconomia, quello di Paul Samuelson, keynesiano per eccellenza, dal 1985 fece il suo ingresso anche lì.

Ora che l’inflazione riprende dopo un lungo periodo di rilassatezza da parte delle banche centrali, il monetarismo di Friedman rimane una chiave interpretativa fondamentale dei fenomeni economici. Un’altra intuizione ha riguardato gli stimoli al consumo. Mentre le politiche keynesiane ritengono che, in caso di stagnazione o recessione, maggior spesa pubblica, sussidi e riduzioni di tasse stimolino i consumi e la crescita economica, Friedman ipotizzo che invece i consumatori risparmino i soldi ricevuti se non sono sicuri che il beneficio sarà permanente e quindi la spesa non aumenterà. Studi successivi hanno argomentato che in realtà alcune persone spendono subito quel che ricevono e quindi il quadro è complesso. Ma il fatto che soprattutto in Italia molti bonus, mancette, sussidi estemporanei abbiano fallito nello stimolare l’incremento del Pil, lo si può spiegare grazie al pensiero di Friedman.

Attualità del pensiero

E cosa dire della corporate governance? In questo periodo si è fatta prepotentemente largo la stakeholder theory per la quale l’impresa deve prestare attenzione anche agli interessi degli stakeholder, vale a dire quei soggetti interessati dall’attività aziendale come i dipendenti, le comunità locali, fornitori. Il paradigma ESG (Environment, Social, Governance), pone l’enfasi sugli interessi dell’ambiente e sociali che la società per azioni è opportuno consideri. Ebbene, chi pensa invece che l’impresa debba fare bene il suo mestiere e non essere Arlecchino servo di troppi padroni e quindi nel rispetto delle legge – in un mercato concorrenziale risponde soprattutto agli azionisti, ancora può contare sul motto del vecchio Milton: “The business of business is business”, espresso 51 anni fa in un lungo saggio sul New Yorker.

Gigante

Ci sarebbero da ricordare gli articoli degli anni 40 sul protezionismo delle professioni, che alzava i prezzi senza migliorare la qualità, l’appoggio ai voucher per scegliere sanità e scuole, assicurando competizione e qualità anche in questi settori. Tutto ci riporterebbe alla grandezza di questo uomo dal minuto aspetto fisico (era alto 1,52), ma gigante del pensiero con cui oggi, come quando era in vita, bisogna continuare a fare i conti.

Alessandro De Nicola, La Repubblica 22 novembre 2021